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Economia, Politica, Storia

La crisi economica del 1929 e il New Deal


Crisi finanziariaIl sistema capitalista, fuoriuscito dal flagello della Prima Guerra Mondiale, fu segnato nel corso degli anni Venti da un periodo di crescita, soprattutto nei livelli di produzione. Tuttavia il mercato globale, saturo di merce, non fu in grado di assorbire la sovrapproduzione, che fu tra le cause del fallimento di molte aziende. Il mercato degli investimenti, regolato dagli istituti borsistici era caratterizzato da un’euforia speculativa senza precedenti; speculazioni che si basavano su di un sistema fondato sul debito, primo fra tutti quello delle società emettitrici di azioni. Audaci manovre speculative di compravendita di tali prodotti, unite al dilagare del mercato dei derivati (pacchetti azionari e obbligazionari emessi per finanziare ulteriori investimenti) diedero l’illusione che il sistema liberista avrebbe permesso ingenti – e soprattutto facili – guadagni.

Come un circolo vizioso auto-induttivo, prodotti bancari vuoti di valore intrinseco ma pieni di valore nominale incominciarono a essere sfiduciati dai creditori-investitori, i quali, fedeli figli del liberismo, cercarono di riconvertire i loro titoli in denaro liquido (considerato un valore, un bene-rifugio) rivelando, tuttavia, in questo modo la vacuità del loro investimento e deprezzandone ulteriormente la quotazione. Con la paura di veder collassare i propri titoli e i con essi i propri margini di guadagno, vedendo questi ridursi, esplose un’isterica corsa alle vendite, culminata il 24 ottobre 1929, che vide il crollo della borsa valori di Wall Street, e andare in fumo milioni di investimenti. Fumo di cui tacitamente erano fatti. Mancanti di prestiti, migliaia di aziende fallirono e con loro migliaia di istituti di credito che custodivano il loro patrimonio ora dissolto, riversando nelle strade milioni di disoccupati. Il sistema liberista dove tutto era consentito e nessun organo superiore attuava forma di controllo e regolamentazione era collassato su se stesso.

Le soluzioni liberiste alla crisi del ’29, consistenti nell’introduzione di misure protezioniste per agevolare lo sviluppo interno, nella riduzione di stipendi e investimenti per rallentare la crescente svalutazione del denaro, e della spesa pubblica per mantenere ad ogni costo stabile il pareggio del bilancio, non riuscirono ad arginare la recessione, esasperandola ulteriormente.

Ispirato dalle audaci teorie economiche di J. M. Keynes, il neo presidente americano Franklin D. Roosevelt (1932-1945) attuò una politica inflazionistica per rilanciare le esportazioni e col fine di risollevare la domanda interna procedette ad un notevole aumento degli investimenti nella spesa pubblica. La svalutazione del dollaro (non più sostenuto da un corrispettivo valore in oro, considerato bene durevole e stabilizzante) fece lievitare i prezzi al consumo rilanciando la produzione. Ciò lentamente assorbì la grande massa di disoccupati, trasformandola in forza produttiva e al contempo consumatrice, dando origine al sistema di vita fondato sulla crescita continua della domanda per sovvenire allo sviluppo e quindi alla crescita dell’offerta, della disponibilità di beni di consumo. Sistema, dopo la Seconda Guerra Mondiale, esportato in tutto il mondo.

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Discussione

2 pensieri su “La crisi economica del 1929 e il New Deal

  1. Cio’ che non mi è chiaro è il motivo per cui una societa’ quotata in borsa deve fallire quando le sue azioni subiscono un ribasso, anche significativo; i suoi operai continuano a produrre merci che sono vendute indipendentemente dal valore delle azioni, mi pare…
    Inoltre non capisco perchè si dice che in un crollo della borsa si bruciano grandi capitali; i soldi passano dalle mani di chi acquista le azioni a chi le deteneva in precedenza :se costui non può rivenderle allo stesso prezzo a causa del crollo dei prezzi, semplicemente ci rimette come singolo individuo: o no?

    Pubblicato da gigiconte | 3 agosto 2011, 10:56
    • Le azioni emesse da una s.p.a. (società per azioni) rappresentano una sorta di debito che l’azienda contrae con i suoi azionisti per avere subito a disposizione della liquidita con cui pagare i fornitori, i possibili investimenti, gli stipendi stessi degli operai. Tutto questo perché nel sistema capitalistico raramente un’impresa possiede materialmente la mole di denaro necessario per farla funzionare. Per questo motivo ricorre al denaro degli azionisti e ai prestiti bancari, con la speranza di poterli piano piano rifondare del loro credito. Il guaio è che lo scopo di questo meccanismo non è estinguere il debito in modo definitivo, bensì arrivare ad avere un utile (entrate – uscite) sufficiente per pagare l’ammontare degli interessi sul debito che in quest’ottica non viene mai ad essere estinto.
      Quando un titolo azionario perde affidabilità e non viene assorbito dal mercato borsistico, esso vede ridurre il proprio valore nominale: ciò fa svalutare l’intera azienda ed è sintomo di debolezza. E questo causa un’ulteriore perdita di credibilità. Gli azionisti hanno paura e se non possono sopportare il rischio di un’ulteriore decrescita degl’indici vendono i loro titoli. Ciò gli fa perdere ulteriore valore. L’impresa si vede così richiedere di pagare subito il proprio debito contratto in borsa e se non ha al momento liquidità (come spesso accade) si vede costretta a chiedere dei finanziamenti alle banche. Se anche queste gli nagano la fiducia l’azienda fallisce e per ripagare i debiti rimasti (azioni emesse, stipendi, altri prestiti, etc) ipoteca se stessa, licenzia i dipendenti, vende i macchinari. Beh, a questo punto l’azienda non esiste più.
      Per quanto riguarda la seconda domanda, devo dirti che la borsa valori, con i suoi indici, i suoi titoli, le sue quotazioni, rappresenta o meno la preosperità di un sistema economico inteso come insieme di aziende. Il suo indice giornaliero e la media ponderata della crescita e della decrescita dei singoli indici. La speculazione si ha in due casi:
      quando vengono comprate (di solito all’apertura mattiniera della borsa) migliaia di azioni senza il denaro liquido sufficiente per poterle pagare. La crescita degli acquisti porta a una crescita degli indici. Quando tali indici raggiungono un buon valore, gli speculatori vendono ad un prezzo maggirato le azioni comprate precedentemente. Con il denaro ottenuto pagano il debito contratto per comprare le azioni e ricavano la differenza.
      quando vengono vendute (di solito all’apertura mattiniera della borsa) migliaia di azioni prive d’effettivo valore materiale (ma solo di valore nominale, fittizio). La crescita delle vendite fa precipitare gli indici, creando il panico fra gli azionisti di quella società, i quali vendono a loro volta per non perdere anche quel poco di valore rimasto che vogliono salvare. Gli speculatori comprano quando i prezzi sono diventati così bassi che saranno per loro assicurati enormi differenziali. Le azioni vendute nella prima fase sono così ritornate nelle stesse mani, insieme ad un’ingente quantità di denaro liquido.
      Talvolta tali manovre non riescono appieno e questi giochi di borsa portano all’effettivo sconvolgimento di quei delicati equilibri che gli specultaori pensano di avere sepre sotto controllo. Quando si dice che “grandi capitali vengono bruciati” si intende “capitali d’investimento” dunque possibilità delle aziende di crescere ulteriormente, a volte di pagare quel debito di cui dicevo prima. Le consequenze sono devastanti e sotto gli occhi di tutti.

      Pubblicato da Eugenio | 3 agosto 2011, 12:28

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