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Società

Dimmi da dove vieni e ti dirò come morirai


Consultando un atlante da piccoli vi sarete sicuramente imbattuti in una serie di valori indicati come speranza di vita. Forse qualcuno vi anche detto, allora, che è l’età in cui si presume sareste più probabilmente morti, a seconda del luogo in cui vivete; ma, a prescindere dalla reazione che potreste aver avuto nell’udire tale indesiderata previsione, voi che vi eravate appena affacciati alla vita, è interessante notare come questo dato, che altro non è se non la constatazione di una situazione, possa influenzare a livello macroscopico la vita delle persone.
L’età alla quale le persone possono aspettarsi di morire varia enormemente attorno al mondo, e va dagli 83 del Giappone ai 42 dell’Afghanistan e dello Zimbabwe. Negli maggior parte dei paesi più sviluppati la speranza di vita è in costante aumento dalla metà del XX secolo, soprattutto a causa delle migliori condizioni di vita e del recente sradicamento di molte malattie infettive. Nei paesi in via di sviluppo, invece, l’aumento è principalmente dato dalle maggiori possibilità di sopravvivenza dei neonati.Gli esperti ritengono che questa tendenza porterà presto (nel 2050) 2.2 milioni di uomini e donne a vivere oltre il centesimo anno di età.

Già oggi in Giappone, dove il 20% della popolazione è ultra-sessantacinquenne, vivono 45 mila centenari. Incrociando questo dato con quello delle nascite si ottiene il quadro di un paese  in costante, ed inesorabile, invecchiamento e diminuzione. Bisogna infatti prendere 4 donne in età da matrimonio per avere la certezza statistica di trovarne almeno una con due figli. La scomparsa delle famiglie multi generazionali, l’impegno maggiore delle donne nel mondo del lavoro ed in genere l’attaccamento, a volte ossessivo, dei giapponesi al lavoro sembrano essere le cause di una così bassa natalità. E pensare che poco lontano abitano i cinesi a cui invece è vietato per legge avere più di un figlio. Il paese ha saputo affrontare bene  il problema finora, nonostante le ovvie problematiche legate al sistema pensionistico, e sta investendo molto, per esempio, sulla robotica, ma già due anni fa l’associazione industriale giapponese aveva invitato gli associati a concedere maggiori ferie ai dipendenti per poter stare con la propria famiglia; erano e sono preoccupati per i rischi al ricambio generazionale dei prossimi anni. Ma il problema non è solo loro e lo dimostrano le tante contraddizioni del paese del Sol Levante. In Giappone, infatti, si può morire per superlavoro ma anche ottenere un congedo pagato per una delusione d’amore, oppure dimenticare il sesso a fine procreativo e far andare alle stelle il fatturato dell’industria del sesso a pagamento.

I problemi della natalità giapponese sono anche quelli dell’Italia e del resto dell’occidente, dove però l’incessante flusso migratorio non pone problemi sul futuro economico dei paesi (sebbene non manchino i problemi etico-sociali legati alla condizione e alla cura degli anziani). In questi paesi la prima causa di morte è il tumore (in Italia a quasi una persona su tre viene diagnosticato il cancro), che fa il 30% delle vittime, seguito dal fumo (attorno al 20%) e dalle malattie cardio-vascolari. Sia esso per tumore o per infarto, sembra però che il miglior posto in cui potrebbe capitarvi di morire sia il Regno Unito, che batte, sul filo di lana, l’Australia per consapevolezza pubblica, disponibilità di terapie del dolore e, più in generale, per tutto il sistema di accompagnamento alla morte.

Immaginate invece un paese dove la popolazione comincia ad invecchiare ma le persone preferiscono non parlare di come prendersi cura degli anziani perché ritengono porti sfortuna, e non scrivono nemmeno un testamento, perché credono lì porti un passo più vicini alla morte. E’ la Cina. L’attitudine dello Stato nei confronti di questo problema è stato profondamente influenzato dalla tradizione: si racconta che un giorno, 2500 anni fa, al grande filosofo Confucio fossero state chieste delucidazioni attorno a questa problematica da un suo seguace, e che egli avesse risposto: “Non abbiamo ancora finito di studiare la vita, quindi perché immergerci nella questione della morte?”
Il governo ha iniziato recentemente a costruire pensioni e case di cura per anziani, gli ospedali hanno incominciato ad offrire servizi di sostegno per gli anziani, ma la sensibilità cinese esige che non siano pubblicizzati. Un ospizio a Pecchino è stato costretto a cambiare sette volte sede, perché i vicini percepivano come nefasto vivere vicino ad un edificio dove così tante persone morivano. La morte onorevole è quella che avviene in casa, circondato dagli affetti familiari, dove l’anzianità è invero venerata. Invecchiare e morire altrove viene visto come un segno di abbandono della famiglia ed in Cina non esiste macchia sociale peggiore.

Dove invece la morte non può essere celata, perché così prepotentemente manifesta e così tragicamente vicina fin dall’inizio della vita, è il Sierra Leone. Il bambino che sta venendo al mondo in questo preciso momento, se la madre con morirà di parto, come avviene una volta su cento, se non morirà lui stesso prima dei cinque anni, come avviene 1 volta su cinque, nel caso venga colpito, ormai adolescente, da tubercolosi, come capita a 1200 persone ogni 100000 abitanti, farà fatica a trovare un medico, a cui fanno riferimento 20000 persone in media, la mancanza di un’automobile potrebbe costargli la vita in futuro. In Sierra Leone molte donne tentano, o sono costrette a partorire a casa: una complicazione che causa sanguinamento, se non rapidamente trattato, porta alla loro morte. Per questo è stata istituita una polizia per il libero accesso delle donne incinte ai sistemi medici, il governo, con l’aiuto di agenzie internazionali, ha introdotto e sta implementando le misure per colpire il peggior assassino del paese, che è, paradossalmente, la nascita.

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